Crisi della sinistra e globalizzazione nel Sistema (in)visibile
18 Dic
8:59

Crisi della sinistra e globalizzazione nel Sistema (in)visibile

di MONALDI e SORTI

Qualche giorno fa sulle colonne di Repubblica, nella nuova puntata di una lunga inchiesta sui destini del Partito Democratico, il senatore umbro Walter Verini invocava per il PD in un intervento dai toni appassionati una nuova fase, in cui ci si «prenda la briga di stare dove c’è la vita. La vita di chi soffre, di chi non ce la fa, innanzitutto. Di chi non ha lavoro o ha un lavoro povero e sfruttato. Di chi ce la faceva fino a qualche tempo fa e ora si trova a vivere una condizione di precarietà e insicurezza». E ha aggiunto: «Noi, quando ci svegliamo la mattina, non abbiamo gli occhi rivolti a quello che succede fuori, nella società. Non siamo in “simpatia” con i protagonisti della vita vera». Verini applicava una dimensione globale, ricordando «la bolla di Wall Street […], la guerra scatenata da Putin, la crisi dell’energia, che apre nuovi scenari e nuove sfide geopolitiche», ammonendo che «occorre ridefinire un profilo, un programma e rivisitare profondamente le analisi con cui la sinistra – in tutto il mondo – ha vissuto la globalizzazione».

Che il PD, erede del PCI, cioè d‘un partito di massa nella grande stagione della sinistra europea, debba ricordare a se stesso e alla sinistra in generale, in questi crudi termini, la propria strada maestra attraverso la globalizzazione, significa che il nuovo saggio di Marcello Foa – dalle  premesse politiche diametralmente opposte a quelle di Verini –  ha colto nel segno. Il vero dramma che si sta consumando nell’informazione digitale, nell’innovazione tecnologica, nella digitalizzazione, nel passaggio rapidissimo a frontiere dell’AI come ChatGTP che paiono destinate a sopprimere perfino Google e Amazon, angeli custodi della nostra pixelata visione del mondo, è un dramma politico.

Nel suo ultimo saggio (Il sistema invisibile. Perché non siamo più padroni del nostro destino, Guerini & Associati), Foa prosegue il dialogo con i lettori sviluppato in Gli stregoni della notizia, aggiungendo questo terzo capitolo ai primi due (2006 e 2018) dedicati alla civiltà digitale, le nuove tecnologie, il mondo dell’informazione, quello del giornalismo e le ricadute sull’uomo di questo intreccio ormai arduo da decifrare forse perfino per i 12mila think-tank (la cifra è data nel libro) che costellano il nostro affannato pianeta.

In/visibile è ogni dominio in cui si giocano le sfide di questi anni: la «guerra cognitiva» per la conquista della coscienza collettiva, la «guerra asimmetrica» non convenzionale tra Stati per erodere le reciproche posizioni geopolitiche, la guerra continua dei ricatti (sospensione dal sistema Swift, dalla fornitura di materie prime o di armi…) con cui i vari attori silenziosamente si scontrano al riparo dai media e dall’opinione pubblica. Posta in palio dell’indagine: capire quali guerre si stanno davvero combattendo sulle nostre teste, con quali mezzi e con quale (prevedibile) esito. 

Non è ovviamente possibile esaminare in dettaglio tutte le complesse questioni sollevate da Foa (la cui esperienza si è ulteriormente arricchita dopo il triennio di presidenza RAI): la sovrapposizione tra politica e puro marketing, il ruolo inquietante degli spin doctors, la progressiva concentrazione dei gruppi editoriali, la sinergia tossica tra agenzie di intelligence e Big Tech, la delega crescente delle entità nazionali (USA compresi) ad istanze sovranazionali come ONU e UE, le moderne guerre asimmetriche a colpi di disinformazione: capitoli ben documentati che meritano sicuramente una lettura diretta. Basti qui segnalare, come dice Foa, che il «trasferimento di poteri alle strutture sovranazionali al fine di condizionare in modo permanente i Paesi stessi» significa «in ultima analisi, togliere potere al popolo», cioè togliere rappresentanza a quelle masse popolari e lavoratrici di cui la sinistra, per vocazione, da sempre si è fatta interprete: la globalizzazione non è mai apolitica.

In Il Sistema (in)visibile il riferimento alle tradizionali categorie destra/sinistra avviene spesso attraverso pensatori notissimi come Zygmunt Bauman, Shoshana Zuboff, Hannah Arendt, ma anche fuori dal mainstream come Jacques Ellul, cristiano influenzato da Marx (ma non marxista) che vedeva la minaccia non già nel capitalismo, bensì nella tetra macina dell‘industria e del produttivismo (di fatto realizzata anche in URSS grazie al capitale pubblico) che ha rubato all’uomo la sua vita e il suo tempo. Diceva Lenin: «Le communisme, c’est les soviets plus l’électrification». L’energia elettrica, cioè, che permise di realizzare l’industria pesante in cui venivano impiegate larghe masse di operai tolti alle campagne. A Foa piacerebbe probabilmente il bel romanzo di Guido Morselli Il comunista, in cui un funzionario del vecchio PCI, in viaggio nell’URSS anni Sessanta, scopre che l’industria sovietica ha gli stessi identici problemi (organizzativi, tecnologici, umani) di quella americana.

Altro autore citato nel Sistema (in)visibile è la saggista inglese Frances Stonor Saunders, autrice di Gli intellettuali e la Cia. La guerra fredda culturale (edito in Italia da Fazi): le carte degli archivi USA rivelano la rete organizzata dall’intelligence americana durante la guerra fredda nei campi delle arti e della cultura, dal MOMA di New York (caso citato da Foa) alle avanguardie musicali, letterarie e intellettuali. Dietro le quinte c’era però (lo dimostra la stessa studiosa in un altro testo, A different story of modernism) anche il grande capitale privato, che sponsorizzò volutamente l’affermazione delle arti astratte a scapito di quelle figurative a partire dal dopoguerra.

La riflessione a tutto campo di Foa dà il meglio in alcune lunghe cavalcate che ripercorrono alcuni fenomeni storici chiave della nostra età: il passaggio in USA dalla democrazia “aperta“ al declino di privacy e garantismo  (l‘«eccezionalismo della sorveglianza») dopo l’11 settembre; l’influenza della Russia sulla globalizzazione, tramite l’internazionalismo comunista e le ramificazioni planetarie del KGB; il venir meno della rappresentanza popolare e democratica nei sistemi moderni grazie alla preminenza delle grandi entità tecno-digitali, delle quali non è stata riconosciuta la valenza pubblica, lasciandole crescere come mostruose piante selvatiche. Ora ci si lamenta che Facebook e Google sappiano tutto di noi e magari si rivendano anche i dati, ma è tardi.

Circa il ruolo della Russia, Foa ricorda «la fratellanza fra i popoli e gli scambi culturali fra i Paesi comunisti, molti dei quali erano sostenuti economicamente da Mosca. Un cubano, Che Guevara, divenne un mito mondiale e il popolo della sinistra palpitava per il Cile, il Vietnam, il Nicaragua, il Sud Africa, indossava la kefiah palestinese contro i sionisti. La sinistra era già imbevuta di internazionalità, che Mosca ovviamente aveva incentivato, finanziando segretamente gruppi apparentemente non politici come le associazioni di pacifisti o di ecologisti. La Federazione mondiale dei sindacati, la Federazione mondiale della gioventù democratica, l’Unione internazionale degli studenti, il Consiglio per la Pace mondiale, la Federazione internazionale delle donne democratiche apparivano come indipendenti e dai fini nobili, in realtà erano telecomandate dal KGB. L’accettazione della globalizzazione da parte delle élite culturali europee fu pertanto facilitata, paradossalmente, proprio dall’internazionalità del comunismo».

La sinistra internazionale, intesa come forza democratica al servizio delle grandi masse popolari e lavoratrici, aveva allo stesso tempo gettato le basi per il proprio declino. L’esplosione della disoccupazione e del precariato tramite informatizzazione, deindustrializzazione, delocalizzazione e uno sfrenato partenariato pubblico-privato anche nei settori strategici sono state avallate – è un fatto indiscusso – dai governi progressisti sia in Europa che negli Stati Uniti, tanto che ad esempio la Cina è diventata il maggior produttore di sistemi di armamento dell‘esercito americano, lasciando disoccupate decine di migliaia di operai americani, e il Pentagono per la sua gestione affitta i server di Amazon. Una serie di “novità“ che certo non rientravano nell’agenda tradizionale dei democratici americani, e adesso invece disegnano il paesaggio della nostra epoca. Foa racconta dei suoi frequenti viaggi in USA, in cui ha dovuto constatare (attraversando città un tempo fiorenti e ora degradate, zeppe di emarginati e homeless) il baratro davanti al quale la società a stelle e strisce sta danzando, bendata e con un piede solo.

Come osserva Foa, la sinistra ha abdicato così profondamente al proprio ruolo tradizionale che «giornalisti, scrittori, registi che sognavano di rovesciare il sistema ne siano diventati gli inflessibili guardiani; che chi si batteva in difesa del proletariato ora condivida l’agenda delle un tempo odiate multinazionali o perché i pacifisti di una volta siano diventati ardentemente interventisti». Da un giorno all’altro, «giornalisti e scrittori si scoprirono liberali, ma senza mutare il proprio Dna e dunque senza assorbire davvero i valori più alti del liberalismo filosofico inteso come esercizio del dubbio, del discernimento personale, della valorizzazione e della responsabilizzazione dell’individuo».

Alla luce dell’indagine di Foa, la riflessione di Verini (ma in generale tutta l’inchiesta di Repubblica) da cui abbiamo preso spunto non potrebbe essere più amara e bruciante: non è solo un fervorino di fronte ai tanti fronti su cui il PD indubbiamente sta arretrando (consensi e immagine anzitutto), bensì un richiamo urgente a tutta la civiltà intellettuale progressista per ritrovare la vocazione e le motivazioni che l’hanno storicamente legittimata. Prima che diventi anch’essa (in)visibile.

1 Comments

    Ettore

    2 Gennaio 2023 at 20:59

    Temi importanti, che non ha senso affrontare da destra, o da sinistra, perche’ ci colgono tutti, allo stesso modo, impreparati.

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